HUGO CHAVEZ

IL PRESIDENTE DEI POVERI

 

 

La caratteristica socio – economica principale della nostra realtà contemporanea, drammatica, per quanto spesso misconosciuta è insondata, è l’enorme sperequazione nella distribuzione delle ricchezze.

Ricchi e poveri, intendiamoci, ci sono sempre stati e probabilmente sempre ci saranno: ma negli ultimi decenni, anche, soprattutto, per effetto di quel complesso fenomeno che abbiamo imparato a chiamare globalizzazione, essi si sono accresciuti e radicalizzati.

 

 

IL TRISTISSIMO PANORAMA INTERNAZIONALE CONTEMPORANEO

 

 

Il 20% degli abitanti del nostro pianeta gestiscono l’80% delle risorse; l’80% e cioè circa cinque milioni di persone sono minacciate dalla fame e vivono al di sotto del limite del decoro; è aumentato il divario fra Nord e Sud del mondo e anche all’interno dei Paesi così detti “ricchi”, Stati Uniti compresi e anzi per primi, è visibilmente accresciuto il numero degli indigenti, dei precari, dei disperati.

Ciò si ripercuote anche in Italia, dove del resto è progressivamente e ormai del tutto scomparso “il ceto medio” e si è bloccata la mobilità sociale, le due caratteristiche ampie e diffuse che avevano fatto la ricchezza e la potenza della nostra Nazione: invece adesso c’è una divisione netta fra i pochi che stanno bene e i molti che stanno male, mentre chi nasce figlio di operaio farà l’operaio e chi figlio di imprenditore, farà l’imprenditore 

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Cadute le ideologie con la loro carica progettuale, venuti meno motivi e personaggi capaci di trasmettere quanto meno una speranza di riscatto, per lo più il problema viene semplicemente rimosso dai governati e in genere dalla politica del ricco, potente e privilegiato Occidente, che, sotto la presunta giustificazione della lotta al “terrorismo”, esercita il proprio potenziale militare; accresce l’occupazione e il controllo dei territori altrui; esporta indiscriminatamente il proprio modello di sviluppo, anche con l’avvio di sedicenti programmi di aiuti umanitari; cerca di arginare, spesso pure con la violenza, le invasioni, come quelle antiche più semplicemente le migrazioni incontrollate, dei popoli affamati, senza tetto, né legge.

 

Invece pare del tutto scomparsa, anche semplicemente come esercitazione teorica,  la necessità di ristabilire un più giusto equilibrio socio – economico e di restituire le risorse naturali che ne sono state espropriate dalle multinazionali occidentali ai popoli sofferenti dell’Africa, dell’ Asia e dell’America latina.

 

Per completare il tristissimo panorama internazionale contemporaneo, c’è da aggiungere doverosamente che gli stessi governanti di questi popoli si sono per lo più adagiati nella situazione esistente e la gestiscono per approfittarne, con veri e propri comitati di affari, a vantaggio esclusivo dei loro interessi personali e dei clan ristretti da cui sono sostenuti al potere.

 

Così milioni di individui, certo, non più schiavi in catene, sono diventati schiavi, per esempio, delle monoculture agricole imposte dagli interessi dell’Occidente e continuano a morire di fame, o a vedersi portare via le risorse che essi detengono, in nome così detto libero mercato, in nome del così detto liberismo.

 

 

L'organizzazione internazionale per il commercio (ITO), la banca mondiale (BIRS), anche il Fondo Monetario Internazionale, persino la derelitta organizzazione delle nazioni unite (ONU) paiono del resto sempre più strumenti al servizio della potenza militare ed economica degli Stati Uniti d’America e dei suoi sudditi - alleati occidentali.

 

                                                    

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Il mondo ha un posto per tutti, però una minoranza, i discendenti di coloro che crocifissero Gesù Cristo, si è appropriata di tutte le ricchezze del mondo”.

 

 

 

 

L’ America Latina, là dove miseria e sfruttamento, retaggi pesantissimi nella loro drammatica violenza, raggiungono toni apocalittici, storicamente ha almeno presentato con regolarità sulle scene del mondo tentativi apprezzabili di ridistribuire la ricchezza, di ridisegnare un mondo migliore e più giusto.

Qualche volta tentativi che hanno prodotto risultati più o meno notevoli, anche se fragili, oppure effimeri.

 

Da alcuni anni, dal Venezuela, si è affacciato un nuovo tentativo, forse l’unico e forse l’ultimo.

 

Ha il volto e il nome del suo presidente, Hugo Chavez.

 

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Il sogno della pace mondiale, il sogno di un "noi" che non ci faccia vergognare per la fame, la malattia, l'analfabetismo, necessita, oltre che di radici, di ali per volare.

Sappiamo che vi è una globalizzazione neoliberista distruttiva, ma vi è anche un mondo interconnesso che dobbiamo affrontare non come un problema, ma come una sfida.

 

Possiamo, sulla base delle realtà nazionali, intercambiare conoscenza, complementarci, integrare mercati, ma al tempo stesso dobbiamo intendere che vi sono problemi che ormai non hanno più soluzione nazionale: né una nube radioattiva, né i costi mondiali, né un'epidemia, né il riscaldamento del pianeta o il buco dell'ozono sono problemi nazionali.

 Riaffermiamo qui, in questa sala delle Nazioni Unite, la nostra infinita fiducia nell'uomo, oggi assetato di pace e giustizia al fine di riuscire a sopravvivere come specie.

 

Simon Bolívar, padre della nostra Patria e guida della nostra Rivoluzione, giurò di non dare riposo alle sue braccia, né dare riposo alla sua anima, fino a vedere l'America libera.

 

Noi non daremo riposo alle nostre braccia, né riposo alla nostra anima fino a quando non sarà salva l'umanità”.

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LA SUA POLITICA SOCIALE

 

Fino a pochi anni fa, in Venezuela vigeva un regime corrotto e profondamente ingiusto. Due partiti di copertura, a difendere gli interessi di poche centinaia di famiglie e delle multinazionali che vi stanno dietro.

L’assurdo di centinaia di miliardi di dollari incassati con le esportazioni di petrolio, a fronte di più della metà della popolazione ridotta in povertà estrema.

 

Ecco invece, in una sintesi estrema, la politica sociale che Ugo Chavez ha attuato in questi ultimi anni.

 

La politica sanitaria: operazione “Barrio adentro”: rete di centri diagnostici, parcellizzati sul territorio, con l’obiettivo di aprirne uno ogni 250 famiglie,

e di primo soccorso che fornisce gratis anche le medicine.

 

Poi c’è “Barrio adentro 2” con laboratori di analisi e diagnosi avanzata, con pronto soccorso, ambulanze, sale operatorie ad alta tecnologia.

Sanità pubblica: per medici liberi professionisti  e farmacisti una concorrenza terribile, da questa sanità pubblica nata dal nulla, senza chiedere mai ai pazienti soldi e nemmeno la dimostrazione del suo stato di bisogno.

Ben diciassette milioni di Venezuelani per la prima volta nella loro vita ricevono cure mediche e assistenza sanitaria.

 

Il 28% del prodotto interno lordo destinato a finanziare i suoi programmi di assistenza sociale.

 

Le missioni di quartiere, poi.

 

Robinson 2” cura l’alfabetizzazione gratuita degli analfabeti e in due anni li porta al compimento della scuola primaria.

Ribas”: a chi non ha concluso le superiori, un diploma in due anni

Sucre”: i corsi a distanza universitari.

Così in appena sette anni un milione e mezzo di Venezuelani hanno imparato a leggere e a scrivere e tre milioni hanno seguito corsi di educazione primaria e secondaria, da cui erano stati esclusi stante la loro povertà: di questo passo a breve l’analfabetismo sarà del tutto annullato e quel giorno sarà un giorno storico non soltanto per il Venezuela, ma, per il suo significato di speranza e di concretezza al tempo stesso,  per tutta l’umanità.

 

 

Poi, per i giovani, corsi di informatica: significativamente tenuti usando il sistema operativo libero e gratuito denominato Linux, non quello americano della Microsoft.

 

Habitat” per dare un tetto a chi ne è privo.

Zamora” per applicare la riforma agraria sancita dalla costituzione che dichiara contrarie agli interessi sociali le grandi proprietà agricole.

Mercal”: duemila punti vendita per “combattere la fame attraverso la commercializzazione e la vendita diretta di alimenti di base a prezzi solidali”.

Dodici milioni di persone ricevono generi alimentari a prezzi modici e un milione a titolo del tutto gratuito.

 

Così i derelitti e i diseredati, la maggioranza della popolazione venezuelana, dopo un’eternità di sottomissione e sfruttamento da parte delle oligarchie economiche al servizio del neocolonialismo americano, stanno trovando per la prima volta la loro dignità in migliori condizioni di vita quotidiana.

 

 

Il cristianesimo è la chiave della rivoluzione. Un documento del Concilio Vaticano II che ho avuto modo di leggere e studiare afferma che la proprietà privata deve tener conto delle necessità sociali. Ciò vuol dire che essere cristiani significa essere contro le speculazioni, per lo sviluppo agricolo ed a favore della cooperazione sociale.

Il cristianesimo armonizza la proprietà privata con la necessità di convivere, perché vuole impedire che vengano arrecati danni intollerabili. Armonizzare il bene comune non significa distruggere la proprietà privata, ma tutelare i deboli ovvero la maggioranza.

La prossima tappa della nostra rivoluzione è la lotta al latifondo.

La proprietà privata non è sacra, deve armonizzarsi con le necessità pubbliche.

E’ la Bibbia che lo afferma.

Il latifondo è un gigantesco inganno ai danni del popolo venezuelano. Un pugno di persone possiede  enormi quantità di territorio che non producono nulla, non sono adoperate in alcuna maniera, oziano.

Bisogna trasformare il modo di produzione.

Servono delle cooperative cui saranno affidate le terre inutilizzare, affinché possano produrre. Le espropriazioni saranno indennizzate.

Anche negli Stati Uniti la corte suprema si è espressa di recente in favore delle espropriazioni di proprietà inutilizzate.

Solo che in quel caso le espropriazioni possono essere fatte a vantaggio di altri privati, mentre in Venezuela la motivazione è l’interesse pubblico.

Si tratta di un passaggio importante verso un nuovo modello economico post capitalista teso a soddisfare i bisogni della collettività e basato sulla necessità di raggiungere la piena sovranità alimentare, grazie allo sviluppo di ogni tipo di agricoltura, strappando le terre ai troppi latifondi esistenti”.

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LA SUA POLITICA ESTERA

 

Contemporaneamente ha avviato una precisa logica di politica estera, culminata nella vera e propria sfida agli Stati Uniti per ottenere un posto fra i membri elettivi del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 

Cooperazione economica e strategie politiche, contro l’imperialismo americano.

 

Con gli Stati Uniti, che mal digeriscono una figura come la sua, i rapporti sono tesi.

Si sono espulsi i rappresentanti diplomatici.

Sono stati limitati voli e dunque l’accesso di passeggeri e merci fra i due Paesi.

Ma soprattutto Chavez ha svincolato i profitti del suo regime dal cambio in dollari e li ha convertiti in euro.

 

 

Dietro tutto questo c’è quello che mi ha scritto un cittadino nordamericano per lettera: Bush ha dimenticato gli aiuti agli afroamericani vittime dell’uragano Latrina, mentre ha bombardato gli Iracheni.

A San Pablo hanno chiuso una biblioteca, all’università di Berkeley mancano penne, quaderni e libri per gli studenti ispanici.

Sono pronto ad aiutare per porre rimedio a queste mancanze.

Manderò ciò che serve agli abitanti di San Pablo rimasti senza libri e agli studenti dell’università che tanto ruolo ebbe nella mobilitazione liberal e pacifista degli anni Sessanta.

Darò ogni appoggio e ogni aiuto ai poveri degli Stati Uniti.

Soprattutto a quelli che vivono in grandi metropoli come New York e Chicago.

Possono contare su Chavez”.

 

 

 

 

 

 

Ha promosso il forum dei popoli, l’ alleanza economica fra Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Venezuela. E la Cuba di Fidel Castro.

 

 

Il presidente boliviano Evo Morales ha già seguito concretamente l’esempio venezuelano: consigliato, o per meglio dire costretto, dal fondo monetario internazionale a privatizzare le proprie industrie di estrazione del petrolio e di gas, se lo è invece ripreso e ha tassato al 50% i profitti.

 

 

 

Nel Sud America si concentra uno sforzo per la libertà. Da duecento anni abbiamo guadagnato l’indipendenza politica, manca ancora quella economica. Uniti la si potrà raggiungere per arrivare allo sviluppo sociale”.

 

 

Ed ecco le visite internazionali, alla ricerca di nuovi orizzonti.

 

Con  la Siria, “accordi e meccanismi per un coordinamento comune di azioni tese a proteggere i Paesi esposti a pressioni e tentativi di assedio”.

 

Russia, Biellorussia, Qatar, Vietnam.

 

Iran: nonostante Chavez predichi una specie di socialismo cristiano, un socialismo patriottico, senza nessuna influenza musulmana, “il nostro fratello combattente” lo ha chiamato, abbracciandolo, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad.

 

 

IL SOCIALISMO DEL XXI SECOLO

 

 

Come se fosse una colpa, viene rimproverato a Chavez di sostenere il suo modello di sviluppo, una specie di socialismo del XXI secolo, com’egli stesso lo definisce, e la  sua esuberante politica sociale, a volte, come abbiamo visto, addirittura spavalda – modelli ritenuti non esportabili - con i forti proventi assicurati allo Stato venezuelano dalle grosse esportazioni di petrolio.

  

Embè?

 

E’ anzi proprio questa la prima lezione che il Venezuela dà di un mondo più giusto e migliore: le ricchezze delle materie prime sono sottratte ai profitti delle società multinazionali, sia dei governanti corrotti che nei Paesi sottosviluppati le appoggiano e invece vengono adoperati per una politica nazional – popolare, in nome e per conto dei poveri, degli umili, dei diseredati, ai quali possono essere così assicurate non soltanto migliori condizioni di vita, ma pure prospettive concrete di promozione e affermazione personale.

 

Tanto per fare qualche esempio, il 70% dei Nigeriani vive con meno di un dollaro al giorno, in una miseria senza speranza, mentre la Shell continua fare guadagni smisurati.

La Exxon Mobil dà alla Guinea Equatoriale soltanto il 12% dei profitti che ricava dal petrolio che estrae dal suo territorio.

E così via.

Le ricchezze delle terra devono essere utilizzare a vantaggio delle popolazioni che su quella terra vivono.

 

Il controllo da parte dei lavoratori dei mezzi di produzione, l’altra grandissima sfida, rimasta finora nella Storia pressoché irrealizzata.

Per ora, per volere del regime, viene proiettato nelle fabbriche, su schermi improvvisati fra macchinari ancora caldi, “Tempi moderni” , il capolavoro del 1936 di Charlie Chaplin, che svela il lato selvaggio del capitalismo.

Più concretamente, è stato imposta una nuova legislazione sul lavoro, che punta a migliorare igiene e sicurezza e far scendere i morti per incidenti, almeno 1500 decessi negli anni precedenti per infortuni sul lavoro.

Vedremo cosa altro, da questo versante, Ugo Chavez riuscirà a consegnare all’umanità, nel corso della storia sua e del suo Paese.

 

 

 “Sono per un socialismo patriottico e democratico che deve essere umanista e deve mettere gli esseri umani e non le macchine in condizioni di superiorità nei confronti di tutto e di tutti”.

 

 

DALLA CRONACA ALLA STORIA

 

 

Nasce a Saboneta, il 28 luglio 1954, da una famiglia numerosa e talmente povera, che il padre, un maestro elementare in una zona di campagna, non potendo mantenere una bocca in più da sfamare, lo affidò alle cure di sua madre, che viveva da sola in una capanna di paglia e fango.

 

Ma la vera casa, com’egli stesso ripete, di Ugo Chaves diviene ben presto l’esercito, dove cresce, studia, fa carriera. Si laurea così in tecniche militari prima e in storia moderna poi, nel segno e nel mito di Simon Bolivar.

 

Matura alla luce ideale del suo Maestro le idee di giustizia sociale e di vera libertà che comincia a diffondere fra i suoi commilitoni, sempre più restii, per esempio, a intervenire quali forze di polizia in azioni di repressione della protesta polare.

 

Ha trenta anni, quando fonda il primo raggruppamento diciamo così ideologico, che negli anni seguenti dai suoi coetanei riesce ad allargare ad ampi settori delle forze armate.

 

Ha trentotto anni, quando, il 14 febbraio 1992, con quelle forze tenta il colpo di stato militare. Ma il golpe fallisce ed egli viene scoperto e arrestato.

 

Si fa due anni di carcere, prima di essere rimesso in libertà per una sopravvenuta amnistia, ma contemporaneamente viene espulso dall’esercito.

 

Ciò gli consente di avviare una vasta opera di proselitismo, soprattutto fra le fasce della popolazione più umili, con il “Movimento per la quinta repubblica” da lui fondato, che si propone di ridisegnare lo Stato alla luce della lotta alla corruzione, alle ingiustizie, alla povertà, in una nuova forma di democrazia, “partecipativa” e “protagonista”, che abbia nel popolo il suo attore principale, finalmente reso artefice  delle scelte decisive.

 

Il 6 aprile 1999 vince le elezioni presidenziali, con oltre il 56% dei voti.

 

E’importante sottolineare il fatto che viene eletto con tutti i crismi della democrazia ufficiale, come pure con tutti i crismi della democrazia ufficiale si svolgono i passaggi successivi del suo potere.

 

Chiede al popolo qualche mese dopo l’autorizzazione a modificare la costituzione: lo ottiene con l’ottanta per cento dei consensi.

 

Alle elezioni dell’assemblea costituente, il suo partito sale al 60% dei voti, quelli a lui collegati ottengono 120 seggi su 131.

 

Agli inizi del 2000, la nuova costituzione viene approvata da un apposito referendum.

 

Per effetto dell’entrata in vigore della nuova carta costituzionale, di cui viene distribuita una copia a ogni venezuelano, si indicono anche nuove elezioni presidenziali, che Chavez rivince, sempre con oltre il 59% dei voti.

 

Può iniziare così, passando ad attuare le norme della Costituzione, la sua “rivoluzione tranquilla”, che però agita e non poco i detentori dei grandi e vecchi privilegi, le oligarchie economiche e politiche.

 

Contro di lui si organizzano in primo luogo i latifondisti, il 10% della popolazione che detiene l’ 80% delle terre, gli industriali, gli asserviti a vario titolo alle multinazionali.

 

Un primo tentativo si registra con la “serrata” delle fabbriche da parte degli industriali nel dicembre 2001, in una specie di sciopero imposto, che però fallisce ben presto.

 

Più serio il tentativo del febbraio 2002, ordito da dirigenti e impiegati della compagnia petrolifera nazionale, che tentano di resistere alla trasformazione dell’azienda voluta dal regime in funzione della ridistribuzione degli utili in funzione sociale, in difesa del modello neocapitalistico e dei propri personali interessi.

 

 

Preparano nei mesi seguenti, con l’appoggio delle gerarchie della chiesa cattolica, di settori marginali delle forze armate, in contatto però con i militari statunitensi, nonché dei principali giornali e stazioni televisive private, uno sciopero generale di ventiquattro ore.

 

Il giorno 11 aprile si mosse a Caracas un corteo di centomila persone, che ben presto fu diretto dagli organizzatori verso e contro il palazzo presidenziale, a sua volta presidiato dai sostenitori di Chavez.

 

Intorno a mezzogiorno, sicari prezzolati cominciarono a sparare sulla folla, con lo scopo di avvelenare ulteriormente la situazione, già di per sé esplosiva.

 

La giornata si conclude con la decisione di Chavez di consegnarsi agli insorti, al fine di evitare uno scontro armato, che avrebbe assunto dimensioni tragiche.

 

Viene rinchiuso nel presidio militare di Fuerte Tiuna, mentre in poche ore seicentomila suoi sostenitori si radunano per chiederne la liberazione; poi nella notte viene portato segretamente sull’isola di La Torcila in una base della marina.

 

Il giorno dopo il presidente della Fedecamera, Carmona Estanga, si autoproclama presidente e annuncia il ritorno in vigore della vecchia costituzione. Incredibilmente, in tempo reale gli Stati Uniti riconoscono il nuovo governo.

 

Ma il popolo insorge. In due giorni sei milioni di Venezuelani manifestano, anche violentemente, a suo favore e chiedono il suo ritorno a potere.

I militari golpisti si contano e scoprono in pochi, vertici di ufficiali isolati dai quadri e dalla base, rimasta fedele al Presidente esautorato nell’illegalità.

Dal canto loro, al terzo giorno, le dimostrazioni popolari assumono dimensioni impressionanti.

La situazione diventa insostenibile.

Tre elicotteri volano a La Torcila e riportano Ugo Chavez nella residenza presidenziale.

I disordini cessano di colpo.

“La rivoluzione tranquilla” può continuare.     

 

 

 

Al di là della crisi economica, il Venezuela stava attraversando una crisi morale ed etica, dovuta alla mancanza di sensibilità sociale dei suoi dirigenti. Ora, la democrazia non è soltanto uguaglianza politica; è anche, anzi soprattutto uguaglianza sociale, economica e culturale. Sono questi gli obiettivi della mia rivoluzione.

 

 

Voglio essere il presidente dei poveri.

 

 

Ma noi dobbiamo apprendere la lezione dei fallimenti di altre rivoluzioni, che, pur affermando di porsi questi obiettivi, li hanno traditi, oppure li hanno perseguiti liquidando la democrazia.

Noi vogliamo passare dalla democrazia rappresentativa, che non deve essere necessariamente disprezzata, a una democrazia partecipativa, diretta.

Vogliamo chiamare il popolo a intervenire sempre più a tutti i livelli del potere, per rendere più efficace l’opposizione a ogni violazione dei diritti umani. Noi dobbiamo cercare il punto di equilibrio tra il mercato, lo stato e la società. Ciò che occorre è far convergere la mano invisibile del mercato e quella visibile dello stato in uno spazio economico all’interno del quale il mercato possa esistere quanto più è possibile, e lo stato per quanto è necessario”.

 

 

 

GLI SVILUPPI

 

Ai primi di dicembre 2006, nuova legittimazione popolare per Hugo Chavez, che rivince le elezioni presidenziali, svoltesi sotto il controllo degli osservatori internazionali, nessuno dei quali ha avuto alcunché da eccepire sul metodo democratico, con un vero e proprio trionfo nei quartieri popolari, comunque con un margine ampio, netto: circa tre milioni di voti e il 20% di differenza.

 

 

   

Abbiamo dato un’altra lezione di dignità agli imperialisti, questa è un’altra sconfitta di Bush.

E’ l’inizio di una nuova era, una nuova epoca che avrà come linea strategica l’espansione della rivoluzione bolivariana e della democrazia popolare verso il socialismo venezuelano.

Il nostro è un socialismo originale, cristiano, indigeno e boliariano.

 

Vogliamo costruire un sistema che sia segnato da uguaglianza, libertà e giustizia, di cui nessuno deve avere paura”.

 

 

 

Ai primi di gennaio, insediatosi ufficialmente per la terza volta alla guida del Venezuela, Chavez annuncia leggi “chavezissime”.

 

Così, i settori dell’energia e delle telecomunicazioni vengo completamente nazionalizzati.

 

Tanto per ripassare la storia, quel che fece agli inizi degli anni Sessanta il primo governo di centro – sinistra in Italia.

Tanto per ricordare l’attualità, dopo un ventennio le privatizzazioni hanno ovunque e ancor di più in Italia completamente fallito: i servizi sono peggiorati, i costi per i cittadini aumentati a dismisura.

 

Una scelta storica, quella di Chavez, dunque, a livello planetario, una vera e propria sfida, ai consolidati interessi del nuovo capitalismo selvaggio, della globalizzazione del liberismo economico e finanziario.

 

Ciliegina sulla torta, i prezzi imposti per i generi di prima necessità, equiparati per tutti i rivenditori a quelli praticati negli empori statali popolari: una forma concreta di giustizia sociale.

 

Sul fronte estero, si rivela un sostanziale fallimento la visita del presidente americano Bush, alla ricerca di un improbabile recupero di consensi nel continente sud – americano, quasi totalmente, con la sola eccezione della Colombia, diventato più o meno ostile agli Usa.

 

Danno invece lustro e consenso a Chavez gli accordi che egli stipula direttamente con le amministrazioni comunali di città come Londra e Firenze: petrolio a tariffe ridotte, per abbassare i prezzi dei trasporti pubblici, in cambio di risorse umane qualificate che insegnino a governare le città con le più moderne e avanzate soluzioni possibili, in tema di smaltimento rifiuti, traffico e tutela dell’ambiente: una vittoria, di sostanza e di immagine, che per Hugo Chavez vale all’estero quanto quella ottenuta democraticamente con le elezioni presidenziali interne

 

Di Hugo Chavez hanno ormai paura soltanto le multinazionali dell’energia e delle armi, e l’alta finanza internazionale, coi i regimi liberal – capitalisti che da essa sono sostenuti. 

 

RIVOLUZIONE CONTINUA

 

Il primo maggio 2007 è stata una data importante, “un giorno storico”, per Hugo Chave, e il Venezuela.

Sono tornati sotto il controllo della compagnia nazionale Pdvsa anche i pozzi petroliferi della zona dell’ Orinoco, la riserva più grande del mondo, con un accordo con le grandi multinazionali, costrette, loro malgrado, a una semplice quota di minoranza.

 

L’imperialismo ha sempre dominato le nostre risorse energetiche. Fino ad oggi gli stranieri hanno estratto il greggio per i loro interessi, pagando tariffe irrisorie.: ma da oggi è finita.

Restituiamo la sovranità nazionale sul petrolio.

Siamo orgogliosi di poter dire che la fase di nazionalizzazione è così conclusa”.

 

 

 

 

Sì, certo, in Venezuela c’era il petrolio, un ottimo petrolio, e questo bastava ad arricchire le tasche dei pochi, a scapito dei tanti.

La massa restava chiusa nelle baracche, privata dell’istruzione, analfabeta, slegata da ogni decisione del potere.

Era trattata con fastidio, in modo razzista, perché indigena, creola, negra: erano nati poveri e tali dovevano rimanere”.

 

 

Chavz è oramai un modello consolidato, anzi,“il motore sudamericano”, come lo definisce il regista Fernado Solanas, il regista argentino che nel suo nome si candida alla elezioni del suo Paese.

 

Fra l’altro, prosegue nella rivoluzione socialista e anzi l’articola con nuove iniziative, come la “computadora socialista”. Un programma che si propone di costruire strumenti informatici autarchici, con l’ausilio di ingeneri cinesi e venezuelani, e di diffonderli diffusa gratis nelle scuole, con lo slogan: “Un computer bolivariano contro gli Usa!”, e gli obiettivi di diffondere l’alfabetizzazione informatica e sviluppare quindi contemporaneamente sia la cultura popolare, sia la produzione industriale.

 

Oppure, ancora, il “venezuela movil”, il piano di finanziamenti popolari, di crediti al consumo garantiti dallo Stato, ad un tasso che è la metà dell’andamento dell’inflazione,  grazie al quale, per esempio, trecentocinquantamila venezuelani che ne erano privi hanno potuto permettersi l’acquisto di un’automobile.

 

 

La nuova costituzione, poi, Divulgata e spiegata al popolo. E poi la richiesta di modificarla ulteriormente, attraverso un nuovo referendum, il 2 dicembre 2007, per prevedere la rielezione indefinita del presidente, ma pure – e questo non l’aveva segnalato nessuno dei critici e dei perplessi – il “referendum revocatorio”, cioè lo strumento che in qualunque momento l’opposizione può utilizzare per chiedere di destituire il presidente in carica, oltre a tutta un’ altra serie di provvedimenti, fra cui l’abolizione della autonomia della banca centrale e la possibilità di sottoporre a censura i media in caso di emergenza.

 

Contrariamente alle attese, la richiesta viene respinta, con il 51% dei no: una sconfitta per Chaves, che comunque, per quanto non possa più essere rieletto, resterà al potere fino al 2012, e che comunque regala al mondo il più bel commento possibile: “E’ stato un esercizio di democrazia”.

 

 

 

 

Stiamo avviando una rivoluzione pacifica. Non abbiamo un solo prigioniero politico, non abbiamo ucciso nessuno, abbiamo proibito il carcere per ragioni politiche. La presunzione di innocenza vale per tutti e qui si rispettano i diritti umani. Non esiste nessun Paese al mondo con maggior libertà di espressione

 

Per quanto il respondo delle urne non cambi nulla nel presente esistente, esulta l’opposizione interna, chi non ha mai digerito il socialismo di Chavez.

Esulta fra i suoi oppositori un’oppositrice molto particolare, la sua ex moglie, anzi, per la precisione, la sua seconda ex moglie, Marisabel Rodriguez Oropeza, visto che la prima era stata la mulatta Nancy Colmenares, che gli aveva dato tre figli, a parte la nutrita schiera di amanti più o meno fisse, o più o meno occasionali.

 

Marisabel fa proclami a destra e a manca, anche se è difficile capire quanto ci sia di personale e quanto di politico. Fra l’altro, dopo il divorzio, si è tenuta Desires, la bambina nata dal matrimonio e adorata dal padre.

 

Dopo l’esito del referendum, la donna tenta di accreditarsi come leader dello schieramento interno che si oppone al regime.

 

Il commento più bello, questa volta è della mamma di Chavez, Elena Frias: “Dio, che lo ha benedetto e lo benedice, non può dare tutto ad una persona. E infatti mio figlio ha avuto poca fortuna con le donne”. 

 

 

Il petrolio finirà presto in metà del mondo, ma noi qui ne abbiamo per altri cento anni. Fidel Castro mi dice sempre: - Questo tu non lo devi dire, ogni volta che lo dici  Bush ti prende di mira!

Ma Bush sta per andarsene.

Come nel famoso racconto, il re è nudo. E noi gli abbiamo visto il culo”.

 

 

Così Chavez cresce e consolida. Afferma.

Non sbaglia un colpo.

Nazionalizza la più grossa impresa siderurgica del Venezuaela, e soprattutto nazionalizza il cacao, con ciò nei fatti contrastando il colonialismo delle aziende straniere che lo esportavano,a tutto danno dei contadini: comincia a farlo lavorare e quindi a produrre il cioccolato non più all’estero, da parte delle multinazionali, ma in Venezuela, da parte dello Stato.

Infine, tuona contro i cartoni animati dei Simpson, come in tutto il mondo anche in Venezuela trasmessi in tv, da un emittente privata: “Attentano alla formazione dei ragazzi”.

La tv coglie la palla al balzo e li mette fuori programmazione, però, credendo di fare un dispetto al leader, li sostituisce con una serie di telefilm con protagonisti la bella Pamela Anderson in bikini ridottissimi.

Ma questa volta Chavez non fa una piega. Grande.