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				GIUSEPPE CONTE
				Il canto che continua qui 
				dentro l’universo 
				  
				
				 
                
                Ha creato gli dei, quindi ha ri-creato gli esseri 
                umani, ma poi ha guardato oltre tale  realtà e di questa entità 
                metafisica, in maniera forse confusa, ma certo suggestiva, ha 
                elaborato trepide e sapide interpretazioni.
                
                Dai tempi delle caverne, da quarantamila anni, 
                attraverso la civiltà classica, fino alle molteplici suggestioni 
                odierne, il mito, “il canto che continua qui dentro 
                l’universo”,  ha nutrito gli uomini, che continuamente 
                ancora oggi lo ricercano, per alimentare i propri sogni e 
                ancorarvi la propria identità.
                
                 
                
                IL 
                MITO E IL MITOMODERNISMO 
                 
                
                Interpreti del mito, sono gli eroi. 
                
                
                Secondo uno dei principali teorici del mito, uno 
                scrittore ellenistico del III secolo avanti Cristo, Evemero, gli 
                dei sono appunto re o eroi, divinizzati nel comune sentire per 
                le loro imprese eccezionali.
                
                 
                
                Abbiamo sempre bisogno di eroi e forse oggi più 
                di prima.
                
                 
                
                Giuseppe Conte al mito ha ancorato la sua poesia 
                e dal vecchio ha portato il mito e la poesia nel nuovo secolo e 
                nel nuovo millennio.
                
                Poeta, ma anche romanziere, scrittore e 
                intrattenitore televisivo, è una delle figure-cardine del nostro 
                panorama culturale.
                
                La sua poetica si chiama appunto “mitomodernismo”, 
                la “corrente” nata a Milano nel 1994 sulle pagine  del 
                “Giornale” curate da Stenio Solinas, insieme all’amico e sodale 
                Stefano Zecchi.
                
                 
                
                Ma che cosa è il mitomodernismo?
                
                Ce lo spiega ( da par suo ) lo stesso Giuseppe 
                Conte:
                
                 
                 
                 
                “Il 
                mitomodernismo è innanzi tutto azione
                
                E’ 
                l’attimo che fugge, sogno, lotta, passione
                
                 
                
                E’ 
                quando hai nelle vene l’indicibile vita
                
                
                Quando ti prende l’ansia di libertà infinita
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è innanzi tutto azione
                
                E’ 
                un gesto maturato fuori dalla ragione
                
                 
                
                
                Eppure più razionale di quelli dei potenti:
                
                è 
                la grande bandiera che soffia ai quattro venti
                
                 
                
                di 
                Rivolta e Destino, di Sogno e d’Avventura:
                
                il 
                mitomodernismo è non aver paura.
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è voglia di futuro
                
                E’ 
                il sacro e il desiderio, l’impuro insieme al puro
                
                 
                
                E’ 
                l’energia che smuove che fa sempre viaggiare
                
                E 
                peggio per chi più non riesce ad ascoltare
                
                 
                
                 
                
                Il 
                canto che continua qui dentro l’universo.
                
                Il 
                mitomodernismo è in una nota, un verso.
                
                 
                
                Il 
                secolo finito ha lasciato i suoi eredi
                
                
                Gente che vive chiusa legata mani e piedi
                
                 
                
                
                Nel vuoto, nell’assenza, “impossibilità”
                
                
                E’il sigillo infelice della loro realtà
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è nuovo umile orgoglio:
                
                
                dire: questo io sono, dire: questo io voglio.
                
                 
                
                
                Dare un senso alla vita per assurda che sia.
                
                
                Combatter per un sogno- e questo è già poesia
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è l’angelo e la carne.
                
                
                Prendere l’invisibile e decifrando, farne
                
                 
                
                Un 
                oggetto che tiene dentro di sé il suo mistero
                
                
                Eppure è lì davanti agli occhi intatto, vero.
                
                  
                
                Il 
                mitomodernismo è chiamare gli dei
                
                
                Sulla terra a discendere e stare in mezzo a noi
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è chiamare gli dei
                
                
                Sulla terra a discendere e stare in mezzo a noi
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è l’eterna carezza
                
                Di 
                Venere sul mare, erba, albero, bellezza.
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è il sogno d’un primato:
                
                è 
                l’arte che si inventa le sue leggi, il suo Stato
                
                 
                
                è 
                il poeta che fa del canto ribellione
                
                
                contro il tiranno ingiusto, contro ogni oppressione
                
                 
                
                e 
                che del cosmo celebra il segreto divino.
                
                Il 
                mitomodernismo è profeta e bambino.
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo inventa una politica
                
                
                Non mera morotea molle menata criptica
                
                 
                
                Ma 
                slancio, libertà, diritto chiaro e duro
                
                Un 
                patto rispettato e un progetto sicuro
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è etica e piacere.
                
                
                Sesso ascesi virtù sfrenatezza rigore.
                
                 
                
                Il 
                mitomodernismo è innanzi tutto azione,
                
                
                costruire il futuro, sogno, lotta, passione”.
                
                 
                
                 
                
                 
                
                 
                L’UOMO, 
                L’OPERA, LE IDEE
                
                Giuseppe Conte è nato nel 1945 a Porto San 
                Maurizio ( Imperia ) e qui vive, quando non è in viaggio, o 
                nell’altra sua casa di Nizza, “luminosa 
                e silenziosa, in rue Massenas, con un terrazzo sui tetti della 
                città, ideale per concentrarsi e scrivere. Sotto, 
                nell’animazione continua dell’isola pedonale, ho un mio tavolo 
                fisso a un caffè, la Promenade des Anglais dietro l’angolo”.
                
                 
                   
                  
                  L’abitazione di Imperia è invece vicino al 
                  mare, “condizione 
                  fisica di cui non riesco a fare a meno, ma anche lo stimolo 
                  più forte per l’avventura, anche dello spirito”, 
                  con una vista mozzafiato che dallo studio arriva fino a San 
                  Lorenzo: quadri di artisti contemporanei; due scrivanie, una 
                  occidentale di cristallo e metallo e una orientale di legno 
                  antico; tanti libri, meno quelli che regala ai giovani poeti 
                  che non possono comprarne.
                
                 
                VITA COL 
                PADRE
                
                Suo papà era siciliano, ufficiale dell’esercito, 
                intensamente ancora presente, nel ricordo, “celeste 
                corrispondenza d’amorosi sensi”.
                
                 
                
                Lo so che non sei qui, padre, lo so
                
                bene che non sei oltre questa lastra
                
                di granito che una patina strana
                
                come di grani di sale o di sabbia
                
                incrostata rende opaca;
                
                non sei
                
                oltre questa foto
                
                che scegliemmo
                
                forse in fretta noi della famiglia
                
                e che ben poco ti assomiglia.
                
                Qui, dove noi rimasti deponiamo
                
                fiori – orchidee , perché ci ricordiamo
                
                che le prediligevi – e con l’accendino
                
                cerchiamo di un cero lo stoppino
                
                finché una scintilla non si rifletta
                
                tremando sopra il  granito,
                
                scavandovi labili incendi puntiformi.
                
                 
                
                Eppure io vengo qui per parlare con te
                
                e solo per te ho ripreso a pregare.
                
                 
                
                Tu sei il principio, tu la fonte.
                
                 
                
                Da “Canti d’ Oriente e d’Occidente”  
                
                  
				  
                
                Avido lettore fin dai tempi della scuola 
                dell’obbligo, al ginnasio, fra le pagine di Shakespeare e quelle 
                di Sartre, giurò a sé stesso che sarebbe diventato uno 
                scrittore.
                
                Si laurea in lettere alla statale di Milano e 
                inizia l’attività universitaria, con Gillo Dorfles a Milano e 
                con Giorgio Barberi Squarotti a Torino; insegna poi alcuni anni 
                in un istituto di Sanremo, prima di dedicarsi completamente alla 
                scrittura.  
                
                  
                
                Collaboratore di molte riviste letterarie, 
                traduttore di Blake, Shelley, Whitman, Lawrence, ha esordito nel 
                1972 con un volume di critica(“La metafora barocca”).
                
                Nel 1979 mette subito a fuoco uno stile alto, 
                lirico, neo barocco, caratterizzandosi così per l’originalità e 
                l’anticonformismo rispetto alla produzione poetica corrente, da 
                cui rimane massicciamente distinta e distante, anche per i 
                contenuti, già orientati a celebrare liricamente i miti celtici, 
                con la prima raccolta “L’ultimo aprile bianco”.
                
                 
                
                “Aprile che ritorna e che consuma nei
                
                giardini di ginestre e di acanti, nei
                
                voli di passeri invisibili e nei calendari
                
                aprile che sgretola che versa dalle tiepide
                
                foci le nuove nuvole”.
                
                 
                
                Negli anni Ottanta pubblica “L’oceano e il 
                ragazzo” e “Le stagioni”, in cui esalta la propria ideologia, 
                fondata sul primato della poesia.
                
                “Dialogo del poeta e del messaggero” è del 1992 e 
                lo porta alla nuova poetica compiutamente definita nel 1994, 
                insieme alla teorizzazione della “Repubblica delle lettere”: l’attualizzazione 
                concreta del culto della classicità.
                
                 
                
                 
                
                Nel 1997, “Canti d’Oriente d’ Occidente”, da 
                Mondadori, con il suo grande successo di pubblico, specie quello 
                giovanile, è la definitiva consacrazione.
                
                 
                
                I critici, Piero Citati in testa, ne evidenziano 
                l’originalità e la versatilità lirica.
                
                
                 ____________________________________________________________________
                
                “Ho 
                seguito un processo che mi sembra coerente e continuamente 
                metaforico”
                
                 
                
                -mi diceva Giuseppe Conte, con un suo intervento 
                sul mensile torinese “In”che all’epoca dirigevo-
                
                 
                
                “Sono 
                rimasto fedele al mio sogno di riportare l’energia del mito 
                nella poesia, sono rimasto fedele a tutti i miei sogni di 
                ragazzo, ho sperimentato linguaggi diversi, toni diversi, stili 
                diversi, in una specie di continua insofferenza del già dato e 
                del già fatto.
                
                Ho 
                sempre bisogno di muovermi e di cambiare, di viaggiare e di 
                amare, nella vita, come nel lavoro letterario.
                
                In 
                questi ultimi anni, dal 1991, con “Terre del mito”, ho scritto e 
                pubblicato oramai migliaia di pagine di prosa.
                
                La 
                mia poesia è diventata più narrativa, ha imboccato la strada del 
                poemetto, ha cercato di inglobare più linguaggi, più realtà, si 
                è fatta voce civile, inascoltata e controcorrente.
                
                Si 
                è approfondita la mia ricerca spirituale, sino al poemetto “Ai 
                Lari”, dove il mio dialogo con l’ombra del padre e con le ombre 
                dell’Ade tocca in maniera laica, foscoliana, tematiche 
                metafisiche e religiose”.
                
                
                 ____________________________________________________________________
                
                 
                
                “Dicono che non torneranno più rondini
                
                che non matureranno più ciliegie
                
                e le primavere saranno di lacrime
                
                cimiteri di tombe grigie.
                
                 
                
                Niente più gridi sulle grondaie
                
                niente più rosso rubino negli orti
                
                e le primavere saranno di lacrime
                
                - annette regni il regno dei morti.
                
                  
                
                Ma c’è qualcosa che non finisce
                
                sei tu Persefone – che – torni - amore
                
                la figlia barbara che custodisce
                
                gli alati in cielo, le fioriture.
                
                 
                
                Hai conosciuto violenza e tenebre
                
                eppure esci e desideri ancora
                
                figlia di Demetra – terra - anima
                
                sogno di un sogno – risveglio - aurora”.
                
                 
                
                “Saluto a Persefone”, su “In”, giugno 1988
                
                
                 ____________________________________________________________________
                
                 
                
                Sempre in quell’occasione, Giuseppe Conte mi 
                parlò in maniera sentitissima di poesia.
                
                “La 
                poesia è sentinella dell’essere, e l’espressione non è soltanto 
                un’astrazione filosofica: la poesia tiene viva la vita del 
                linguaggio, e dunque della conoscenza: è il canto dell’universo, 
                il punto più alto in cui la materia primordiale giunge nel suo 
                infinito viaggio verso lo spirito, verso la conoscenza di sé e 
                la propria divinizzazione.
                
                E’ 
                guida delle coscienze, perché essa contiene un’implicita, intima 
                eticità, La poesia è sentinella dell’essere, e l’espressione non 
                è soltanto un’astrazione che non è una morale partigiana, 
                tribale, ma una eticità assoluta in difesa della luce, dello 
                spirito, della vita. E naturalmente, in un mondo apparentemente 
                privo di senso della metafisica, la poesia ce ne ricorda 
                continuamente la insopprimibile necessità.
                
                 
                
                La 
                poesia nasce sempre da una sofferenza, che è innanzitutto 
                sofferenza metafisica, disagio di fronte alla apparente 
                normalità del mondo, alla apparente linearità del linguaggio: 
                non è frutto di un dolore privato, quanto di quel dolore che i 
                romantici tedeschi, a cui dobbiamo tanto, chiamarono weltschmerz, 
                dolore del mondo.
                
                
                 Non si scrive se non si è stretti alla gola dall’angoscia della 
                domanda esistenziale: perché viene sera? Perché vengono le albe? 
                Perché tutta questa pena, perché tutta questa gioia?”
                
                
                 ____________________________________________________________________
                
                 
                
                Un giornale come “Panorama” lo presenta come 
                l’erede di Ezra Pound nelle preferenze dei giovani di destra.
                
                 
                
                Ma Giuseppe Conte ci tiene a puntualizzare e 
                puntualizzando così ebbe a precisare nel 1999, in un’intervista 
                per tanti versi memorabile e rimasta attualissima che mi 
                concesse per il settimanale “Il Borghese”:
                
                 
                
                “La 
                mia poesia sviluppa temi- la natura, il mito, l’eroismo, 
                l’anima, l’energia cosmica, il desiderio erotico, il viaggio, la 
                riscoperta delle radici celtiche, lontane, l’avventura 
                spirituale- che non hanno una precisa collocazione politica, ma 
                che ambiscono essi stessi a essere una Politica dello Spirito.
                
                 
                
                Ho 
                appreso con un po’ di stupore che tra i poeti prediletti dai 
                giovani di destra vengo subito dopo Pound. Mi sono sentito in 
                colpa verso D’Annunzio, che meriterebbe di più. 
                
                
                 
                
                
                Evidentemente i giovani di destra sono più individualisti, e 
                dunque più liberi. I giovani inquadrati dalla sinistra sono 
                rintanati nel potere culturale come topi nel formaggio, 
                conformisti, passatisti e se ho di sicuro lettori di 
                Rifondazione comunista e dalemiani, certo che un veltroniano non 
                potrà mai leggermi, oserei dire che non ha il diritto di 
                leggermi.
                
                 
                
                Il 
                panorama attuale è desolante, niente si è rinnovato come io 
                speravo.
                
                Io 
                sono un inarco-individualista, un repubblicano rivoluzionario, 
                un democratico whitmaniano.
                
                Ho 
                avuto simpatia per certi accenti della Lega. Peccato che io sia 
                anche per una società multirazziale e multireligiosa, dove 
                ognuno recuperi in pieno rispetto degli altri la propria 
                tradizione e la propria verità.
                
                 
                
                La 
                mia solitudine mi è indispensabile, almeno come l’amicizia e 
                l’amore.
                
                
                Non è che io subisca la solitudine, la cerco nel momento in cui 
                devo concentrarmi sui miei progetti di scrittura.
                
                 
                
                Ho 
                il culto dell’amicizia, e molti amici, sparsi per gli Stati 
                Uniti, la Francia e l’Italia.
                
                Ma 
                amo molto certe giornate silenziose di Nizza, dove gli unici 
                interlocutori sono i camerieri dei bar e dei ristoranti, e le 
                uniche interlocutrici le immagini di ragazze bellissime che 
                passano per le strade.
                
                 
                
                A 
                livello culturale mi sono battuto da anni e contro quasi tutti 
                per riaffermare la dignità del mito; ho riscoperto sin dai primi 
                anni Ottanta le radici celtiche della nostra cultura; ho portato 
                in Italia Il diario di Bobby Sands e a partire da quello ho 
                scritto un poemetto, “Il canto irlandese”, che oggi gira 
                tradotto in gaelico da giovani poeti irlandesi; ho contribuito a 
                far nascere il Mitomodernismo; ho guidato l’azione del commando 
                eroico che ha occupato Santa Croce il 1 ottobre 1994 e lanciato 
                un messaggio di rinascita spirituale per la poesia e per 
                l’Italia. Per essere uno che vive quasi in esilio, mi sembra di 
                aver fatto abbastanza”.
                
                 
                
                
                 ____________________________________________________________________
                
                L’ASSALTO A SANTA CROCE A FIRENZE nella 
                rievocazione di Michela Frittola, una giornalista che partecipò 
                all’evento.
                  
                  
                
                 
                
                Ricordo che faceva molto caldo, quel giorno, 
                nonostante l’estate fosse già finita.
                
                Giuseppe Conte aveva convocato i suoi “seguaci”, 
                tutta la sua schiera di poeti sparsi in ogni luogo d’Italia, 
                nelle settimane precedenti.
                
                Io e Nicola Ponzio lo andammo a trovare la sera 
                prima nel suo albergo, dove già egli aspettava
                
                e, insieme a qualche altro, lo trovammo più che 
                mai brillante, prodigo di rilievi ironici e di suggestioni 
                creative.
                
                 
                
                Ristabilire il primato della poesia, esaltarne la 
                funzione eroica, dare un segnale di riscossa, di rinascita: 
                avevamo spiegato e continuammo a spiegare nei giorni seguenti il 
                significato del nostro gesto. Molti giornali ne parlarono, 
                ricordo.
                
                In pratica, quella mattina, ci ritrovammo in una 
                trentina.
                
                 
                
                Arrivò anche Stefano Zecchi
                
                Entrammo nella basilica e davanti alle tombe dei 
                Grandi recitammo strofe del carme de “I sepolcri”, ognuno di 
                noi  ne declamò un pezzo.
                
                Ci trasferimmo sul sagrato davanti alla chiesa. 
                Qui, di nuovo, ognuno di noi prese la parola, uno dopo l’altro, 
                a leggere o versi propri, oppure proprie  considerazione 
                critiche, teoriche, sulla poesia.
                   
                  
                  Era già pomeriggio inoltrato, quando il 
                  commando eroico si sciolse, contento, soddisfatto della sua  
                  missione, così portata brillantemente a compimento.
                
                 
                
                “L’impegno 
                sociale non è il mio forte. La politica mi appassionava da 
                ragazzo:a 14 anni ero iscritto al Pli di Malagodi, quando i 
                liberali erano pochissimi bastian contrari.
                
                
                Oggi la politica è troppo sottotono, senza idee, senza 
                emozioni…Dovrei appassionarmi a qualcosa che assomiglia sempre 
                di più all’amministrazione di un condominio?
                
                 
                
                La 
                bambina dei miei vicini di casa un giorno ha chiesto alla mamma: 
                -Perché il signor Conte non lavora? 
                
                
                Non riusciva a capire che razza di vita facessi, mi vedeva 
                entrare e uscire a ore strane e stare in casa tutto il giorno, 
                mentre suo padre era in ufficio.
                
                
                L’ozio non è affatto vuoto. Non è l’assenza di attività. Al 
                contrario, per gli antichi era una condizione normale dello 
                spirito, alla quale si contrapponeva il negotium: il lavoro come 
                negazione dell’otium. 
                
                 
                
                
                L’ozio è indispensabile per ricaricarsi, per fare sogni e 
                progetti. E’ la più proficua delle attività, quella che i 
                tedeschi chiamano tagtraum, sogno di giorno. Il tempo libero 
                della società di massa, invece, è un vuoto assoluto dal quale si 
                cerca di uscire con attività eterodirette, forzate. 
                
                
                 
                
                
                Io, per esempio, mi accorgo spesso di lavorare troppo. La vera 
                forza che mi permette di scrivere e di inventare è il tempo che 
                strappo alla macchina del lavoro. L’etica del lavoro in sé può 
                anche essere una buona cosa, ma guai se non trova il suo 
                contrappeso nell’otium. Altrimenti davvero si diventa schiavi.
                
                 
                
                
                Dobbiamo insegnare ai giovani come utilizzare in modo più 
                intelligente il proprio tempo. L’arte di conversare con sé 
                stessi è essenziale per la nostra crescita interiore. Bisogna 
                saper stare da soli, anche se mescolarsi alla folla sembra più 
                facile e divertente. Solo nella solitudine nascono le 
                illuminazioni e i dubbi che ci rendono liberi.
                
                 
                
                La 
                poesia è il canto dell’universo, come il mito, è una corrente di 
                energia psichica e linguistica che tende a dare senso al mondo, 
                come gli dei.
                
                Il 
                poeta è sempre una persona che soffre più degli altri, che ha 
                ricevuto una ferita iniziale, irrimarginabile. Detto questo, il 
                poeta è anche l’uomo che conosce più gioia al mondo e che dà e 
                riceve più amore.
                
                 
                
                
                Non mi piace la vecchia solfa conformistica secondo cui è 
                fortunato un paese che non ha bisogno di eroi.
                
                 
                
                
                L’eroismo è la capacità di irradiare luce di cui tutti gli 
                individui e tutti i popoli hanno bisogno.
                
                
                Solo un cattolicesimo senza metafisica e un comunismo senza 
                lotta possono sostenere morali così minime e antieroiche. Io 
                adoro Achille che combatte per compiere il suo destino, e con 
                lui tutti i giovani eroi solari a lui simili: Sigfrido, Krisna, 
                Sansone. Amo Giasone che cerca il vello d’oro, Perceval che 
                cerca il Graal, amo Bobby Sands, amo i giovani aviatori caduti a 
                Fiume, Aldo Bini, Giovanni Zappegno…
                
                 
                
                
                Oggi non ci sono né eroi, né maestri, in Italia. I poeti hanno 
                rinunciato a essere voci spirituali.
                
                
                C’erano Borges e Junger, che potevi andargli a chiedere lumi.
                
                Io 
                ho avuto diversi bellissimi scambi epistolari con Junger, 
                l’unico a cui scrivevo- Caro Maestro… 
                
                 
                
                
                Dei poeti italiani contemporanei mi piacciono Milo De Angelis, 
                Tomaso Kemeny, Roberto Carifi, Rosita Copioli, Mario Baudino, 
                Valentino Zeichen, Renzo Paris, Giancarlo Pontiggia, Danilo 
                Bramati, Gabriella gallio, Lamberto Garzia, Marco Marangoni, 
                Nicola Ponzio, Alba Donati, Lorenzo Scandroglio”.
                
                
                ____________________________________________________________________
                
                “C’è una dolcezza giù nella vita
                
                che non cambierei con niente di ciò che 
                appartiene al cielo
                
                E’ quando chissà da che
                
                fra due bocche estranee fino ad allora
                
                cominciano i miracoli
                
                trepidi d’aurora
                
                dei baci”
                
                da “Canti d’Oriente d’ Occidente”. 
                
                
                
                ____________________________________________________________________
                
                 
                “Anche 
                i rapporti amorosi tra uomo e donna sono al centro della mia 
                attività di scrittore.
                
                
                Dei miei romanzi, uno è ispirato a Donne Innamorate di Lawrence 
                e si intitola “Fedeli d’amore”; anche in “Il ragazzo che parla 
                col sole”, non manca, nell’iniziazione del protagonista, la 
                parte dedicata all’eros.
                
                 
                
                
                Nelle mie poesie, esplicitamente amorose sono quelle dei “Canti 
                di Yusuf Abdel Nur”, in “Canti d’Oriente e d’Occidente”.
                
                
                Luca Canali ha scritto che sono le poesie più sensuali della 
                letteratura italiana dopo D’Annunzio.
                
                In 
                effetti mancano nel nostro secolo le tematiche d’amore: si pensi 
                a Montale, a Calvino, che riescono a non parlare d’amore 
                praticamente mai.
                
                
                Decenza ligure. Io, mezzo ligure, mezzo siciliano, sono invece 
                per la sfrenatezza barocca e lirica dei sensi, sono stato sempre 
                ossessionato dall’eros, ho sempre sacrificato all’altare di 
                Venere. Nella pagina e nella vita.
                
                 
                
                
                Sono pieno di progetti.
                
                La 
                meta è non cessare mai, cercare la pienezza, la fioritura del 
                proprio essere, il proprio stile sino alla fine”.
                
                
                ____________________________________________________________________
                
                 
                
                Il primo romanzo di Giuseppe Conte è  del 1980, 
                “Primavera incendiaria”, cui seguono “Equinozio d’autunno”, del 
                1987, “I giorni della nuovola”, 1990, “Fedeli all’amore”, 1993, 
                “L’impero e l’incanto”, 1995, “Il ragazzo che parla col sole”, 
                1997, “Il terzo ufficiale”, 2002, ambientato all’epoca della 
                tratta degli schiavi e “La casa delle onde”, 2005, biografia 
                romanzata del poeta inglese romantico Percy Shelley.
                
                 
                
                Sarà per pregiudizio, ma, dopo Foscolo e Manzoni, 
                è difficile pensare a un poeta che sia anche un narratore.
                
                Giuseppe Conte lo è.
                
                Ma sul valore dei suoi romanzi, su cui si è molto 
                discusso, il pregiudizio, stupido forse, certo frutto della 
                sensibilità contemporanea, continua a pesare.
                
                Presi di per sé, sono costruzioni notevoli da un 
                punto di vista letterario, finanche raffinate, in cui, fra 
                l’altro, specie negli ultimi due, egli, partendo dalle basi 
                storiche,  rielabora e sviluppa tante tematiche care alla sua 
                poetica ( l’elemento marino, le figure eroiche )  e possono 
                piacere e molto a chi lo conosce da romanziere. 
                
                
                Ma di solito non piacciono a chi lo ha conosciuto 
                e l’ha “sentito” quale poeta. 
                
                Forse per pregiudizio contemporaneo sul Giuseppe 
                Conte romanziere.
                
                Forse perché davvero Giuseppe Conte ottimo poeta 
                da poeta è ad un altro, più elevato e irraggiungibile livello di 
                eccellenza.
                
                  
                
                Alla poesia torna nel 2002, con “Nuovi canti”, 
                pubblicati da Giorgio Devoto nelle edizioni San Marco dei 
                Giustiniani con prefazione di Rosita Copioli.
                
                Torna con una forza, un’ampiezza di respiro dagli 
                effetti dirompenti.
                  
                  
                
                Mio corpo non dimenticare il piacere
                
                che hai preso giorno dopo giorno
                
                la delicata lussuria, il tremore
                
                dei fianchi e delle ginocchia
                
                gli occhi perdute sotto le palpebre
                
                l’aprirsi tiepido di una bocca
                
                la saliva il seme il sudore
                
                insieme, col loro odore
                
                inconfondibile, ed acre e squisito.
                
                Le parole turpi e dolcissime
                
                ripetute in amore all’infinito.
                
                Noi detestiamo gli ipocriti
                
                è vero, mio corpo? Lo sappiamo
                
                che il piacere è inutile, vano.
                
                Eppure ancora ne vogliamo”.
                
                  
                   
                  
                  Da “Nuovi canti”, 2002
                  
                  
                
                 
                
                Ma il grande ritorno è all’inizio del 2006, per 
                Mondadori, con “Ferite e rifioriture”, una nuova raccolta, 
                sospesa fra il rifiuto del Novecento letterario,  quindi la 
                sperimentazione e l’attualità stringente, sia “personale”, sia 
                “politica”, fissata con versi d’una compiuta e tipica, peculiare 
                espressività.
				  
				
                 
				  
                
                Sempre nel 2006, mutuando il titolo dal 
                romanziere Jean Giono ( 1895- 1970) il quale, in un brano del 
                suo diario, nel 1938, si riprometteva di scrivere quattro 
                lettere, di cui l’ultima avrebbe voluto chiamare "Lettera ai 
                disperati sulla primavera", pubblica un saggio per “Ponte alle 
                grazie” con lo stesso titolo.
                Riprendendo e sviluppando l’idea dello scrittore 
                francese, forte delle passioni in comune per la letteratura come 
                spiritualità,  bellezza, l'autenticità, la fratellanza, Giuseppe 
                Conte stila una specie di manifesto di impegno politico e 
                letterario   
				
                 
				  
                
                Giuseppe Conte, a  sessanta anni, affida un 
                compiuto racconto di sé, insieme a tutta una serie di 
                riflessioni sui suoi motivi poetici e sulle tematiche letterarie 
                contemporanee, a Paolo Di Stefano, in una lunga intervista 
                pubblicata sul “Corriere della sera” del 12 ottobre 2005.  
                
                  
                
                “La 
                letteratura senza impegno per me sarebbe di atroce 
                insignificanza. 
                
                 
                
                
                Prima, con la lotta di classe e l’utopia comunista, il discorso 
                sull’impegno era molto più chiaro: significava aderire ad 
                un’ideologia. Dunque, cadute quelle ideologie, per molti non 
                dovrebbe più esserci né una visione del mondo né una visione 
                letteraria complessiva, Invece, l’impegno ha solo cambiato 
                faccia. Non potrei mai pensare che con la caduta delle ideologie 
                politiche siano venute meno le ideologie letterarie.
                
                 
                
                La 
                letteratura non può limitarsi a essere un gioco linguistico o un 
                prodotto adatto al mercato, deve sempre di più disegnare una 
                visione del mondo e una visione spirituale.
                
                 
                
                
                Abbiamo avuto una caduta a picco della cultura umanistica e 
                della fiducia nella creatività, un imbarbarimento della classe 
                dirigente e della borghesia, un abbrutimento della politica a 
                sondaggismo e televendita.
                
                 
                
                Il 
                tema più importante del nuovo impegno post-ideologico è quello 
                della natura attaccata e avvelenata che sembra ribellarsi 
                all’uomo. Basti pensare al valore simbolico dell’uragano di New 
                Orleans: un significato profondo che non è stato colto per n on 
                creare allarme. Non si sono mai visti cicloni così devastanti.
                
                
                 
                
                
                L’equilibrio tra uomo e natura è un argomento su cui il  poeta 
                dovrebbe riflettere: oggi impegno è mettere in discussione 
                l’idea dominante di progresso come  crescita indiscriminata per 
                rilanciare una nuova immagine di anima individuale. O meglio, 
                per rilanciare quelli che Victor Hugo definiva i diritti 
                dell’anima: la bellezza e la fratellanza tra diverse visioni 
                spirituali.
                
                 
                
                
                Per me impegno è anche confrontarmi con l’eurocentrismo 
                rifiutandolo. Vedo che Sanguineti se ne fa un vanto, ma a me l’eurocentrismo 
                sembra una malattia senile della cultura occidentale, perché non 
                tiene conto della complessità del mondo.
                
                 
                
                Le 
                famose radici cristiane dell’Europa? Io sono laico. L’Europa  
                secondo me ha una tradizione ben diversa, un’identità fondata 
                sull’apertura al resto del mondo e sulla capacità di capirlo, di 
                amarlo, di integrarlo.
                
                
                Invece oggi il nostro continente propone ipermercati, 
                televisioni, stadi, pubblicità, moda. Le paiono cose per cui 
                inventare un futuro?
                
                 
                
                Io 
                credo che il vero nemico dell’Occidente non sia il terrorismo, 
                ma il nichilismo, l’idolatria del mercato, il consumismo, 
                sfrenato che porterà collassi, epidemie, catastrofi d’ogni 
                genere, di cui vediamo già i primi segnali. Se lo scrittore non 
                coglie questi segnali è meglio che lasci perdere…
                
                 
                
                I 
                miei punti di riferimento non sono cristiani, in senso stretto. 
                Mazzini non era cristiano, ma aveva una forte visione 
                spirituale. Come Foscolo e de Sanctis…Queste sono le radici 
                europee, non cristiane, ma insieme greche, romane, celtiche, 
                islamiche.
                
                 
                
                
                Per intenderci, sono molto nemico di Pera.
                
                
                Sono laico, ma parlo dal punto di vista di chi crede nel primato 
                dello spirito. Viceversa negli Stati Uniti lo spiritualismo 
                fondamentalista è uguale al fondamentalismo islamico contro cui 
                combatte. Su questi grandi temi deve ragionare, secondo me, uno 
                scrittore o un poeta, incarnandoli nella contemporaneità: la 
                natura, l’anima, il mito, gli archetipi.
                
                 
                
                
                Sono stato sessantottino, alla Statale di Milano. Non avevo 
                simpatia per l’ala maoista violenta, non sono mai stato in Lotta 
                continua, ma ero un materialista, favorevole alla libertà 
                sessuale, alla liberazione degli omosessuali, all’immaginazione 
                al potere, a tutte quelle cose che, con il femminismo, hanno 
                cambiato la nostra società.
                
                 
                
                
                Oggi, col tempo, ho maturato un interesse per il primato dello 
                spirito: lo spirito è un itinerario che mi ha portato a scoprire 
                le mitologie e  le religioni degli altri, dal taoismo al 
                panteismo degli Indiani d’America, all’islam.
                
                
                Sull’onda di quelli che considero i miei maestri, Ungaretti e 
                Borges, penso che se gli scrittori abdicano a cercare la verità 
                e il senso della vita, e si limitano a divertirsi nel gioco 
                dell’ironia e della parodia, corrono il gravissimo pericolo di 
                farsi sostituire da gente come quel simpatico pelandrone di 
                Vasco Rossi.
                
                 
                
                
                Facendo la fenomenologia del mondo così come è, si finisce per 
                confermare l’esistente. I giovani che guardano all’avanguardia 
                sono più vecchi dei loro ispiratori.
                
                
                Occorre invece fortissima passione, la voglia di salvare ciò che 
                di umano c’è nell’uomo, di ridare speranza al pianeta.
                
                
                Distillare speranza dalla disperazione; quello che conta è 
                crederci”. |