NICOLA VACCA
                
                “Nessuna meta è 
                irraggiungibile, quando ho qualcosa da dire”
                  
                
        
        
          
   
                    
                    
                    “La 
                    poesia è la forma più alta del pensiero. Dove non arriva la 
                    ragione, la follia dei versi percepisce i frammenti di 
                    verità che  normalmente non siamo abituati a vedere. Fuori 
                    cornice, la poesia è una forma di gratitudine che si dona 
                    attraverso la parola. Incontrarsi nel suo nome è un dovere 
                    morale per chi non si rassegna al tramonto della bellezza. 
                    Perché resterà soltanto l'opera dei poeti".
                    
                    
                    Non passano mai troppi giorni senza che 
                    Nicola Vacca non ne abbia una nuova da dirti, o, meglio, da 
                    darti.
                  
                  
                  “Nessuna 
                  meta è irraggiungibile
                  
                  
                  
                  quando ho qualcosa da dire”.
                  
                  da “La grazia di un pensiero” 
                  (Pellicani, 2002) 
                
                
          
           
                
                  
          
           
                
                  
          
           
                
                  
          
           
                
                  
                
                
                Ora ha pubblicato una nuova raccolta di poesie; 
                oppure, è stato scelto fra i finalisti dell’importantissimo 
                premio “Città di San Pellegrino terme”; ora invece i suoi versi 
                sono stati letti nel corso del popolarissimo programma 
                radiofonico “Fabio e Fiamma” di Radiodue; oppure, ti annuncia la 
                prossima uscita della sua nuova raccolta, (“Con prefazione di 
                Sergio Zavoli, meglio dirlo”), o ti ragguaglia delle proprie 
                molteplici attività in ambito editoriale: senza farlo apposta, 
                schivo e modesto di sé stesso com’è in realtà, però ti fa 
                riflettere, insomma, con soddisfazione, su quanto egli sia, 
                giorno dopo giorno, sempre di più addentro, da protagonista, nel 
                panorama culturale italiano, proprio grazie a lui un po’ meno 
                grigio e un po’ meno smorto.
                
                
                 
                
                
                Se non si tratta, poi, di faccende letterarie, ci 
                sono quelle varie ed eventuali di cui è sempre prodigo, a dargli 
                motivo di chiamarti al telefono.
                
                Insomma, chi ha la fortuna di conoscerlo, può 
                scoprire quanto stima e affinità possano riempire di bello la 
                vita. 
                  
				
                
                   
                   
                   
                 
                
                Così a Natale ti manda gli auguri con un sms, sì, 
                come tanti, ma come solo lui può e sa fare, con una sua poesia 
                inedita, scritta di getto per l’occasione:
                
                
                 
                
                
                “Pace 
                nell’anima.
                
                
                
                Soltanto l’amore scaverà nel dizionario dei sensi: 
                
                
                
                
                non abbiate paura, fratelli, di cercarvi nel cuore degli altri.
                
                
                
                
                In questa fratellanza si compie il destino della bellezza”
                
                
                 
                
                
                
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                Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, in 
                provincia di Bari, nel 1963; laureato in giurisprudenza, vive  a 
                Roma. 
                
                
                 
                
                
                È scrittore, opinionista, critico e agente 
                letterario, ma soprattutto è già una delle voci più importanti 
                della nostra poesia contemporanea.
                
                
                 
                
                
                Collabora alle pagine culturali  di quotidiani e 
                riviste: tra  le sue molteplici attività pubblicistiche va 
                ricordata la rubrica settimanale, interamente dedicata alla 
                poesia, sul quotidiano “Secolo d’Italia”, “Nel verso giusto”, 
                che, per la sua inattuale originalità, ha ottenuto l’attenzione 
                dei più importanti quotidiani nazionali, oltre, in generale, 
                della critica letteraria accademica. 
                
                
                 Si occupa professionalmente di ricerche, 
                rapporti istituzionali e pubbliche relazioni; svolge, inoltre, 
                un’intensa attività di operatore culturale, organizzando 
                presentazioni ed eventi. 
                
                
                 Coltiva con la medesima passione l’attività di 
                critico e agente letterario, e quella di poeta, convinto che nel 
                campo della cultura siano indispensabili una giusta dose di 
                umiltà e di onestà intellettuale. 
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                Queste due qualità fanno di lui un personaggio 
                bizzarro e unico, fuori da ogni convenzione e consorteria 
                intellettuale, che, per amore della letteratura, ha deciso di 
                rispondere soltanto alla sua coscienza. 
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                Si definisce, infatti, un anticonformista attento 
                alla qualità dell’opera letteraria e non teme, in modo assoluto, 
                la permalosità snobistica dei cosiddetti poeti laureati.  
                
                
                
                
                ____________________________________________________________________ 
                
                
                 
                
                
                Ha già pubblicato i seguenti libri di poesia:
                
                
                
                 
                
                
                -Nel 
                bene e nel male 
                (Schena, 1994) 
                
                
                 
                
                
                -Frutto 
                della passione 
                (Manni, 2000) 
                
                
                 
                
                
                -La 
                grazia di un pensiero 
                (Pellicani, 2002) 
                
                
                 
                
                
                -Serena 
                musica segreta 
                (Manni, 2003) 
                
                
                 
                
                
                -Porta 
                il tuo nome l’amore eterno 
                (Edizioni il Pulcinoelefante, 2004)
                
                
                 
                
                
                -Civiltà 
                delle anime 
                (Book editore, 2004) 
                
                
                 
                
                
                -Morte 
                occidentale 
                (Fiori di torchio, 2005)
                
                
                 
                
                
                -Incursioni 
                nell’apparenza 
                (Manni, 2006) 
                
                  
                   
                 
                
                 
                
                
                Nella geografia dell’Italia, quando non è in 
                viaggio per una delle sue innumerevoli iniziative culturali, 
                Nicola Vacca, come detto, sta a Roma, dove vive e lavora: e qui, 
                ogni volta che ci capito io, ci incontriamo, puntualmente 
                all’ora di pranzo ( quella del Sud ) e previo appuntamento in 
                centro. 
                
                
                Sempre puntualmente, andiamo a mangiare ( poco ) 
                allo stesso posto, “Il faciolaro”, dietro al Pantheon, dove però 
                parliamo molto, a tal punto che, usciti fuori dopo il caffè e 
                l’ammazza - caffè, gli unici lussi della parca mensa, la 
                conversazione si protrae poi nel pomeriggio e fino a sera, fra i 
                vicoli e le stradine del centro di Roma, che percorriamo per 
                inseguire non tanto i miei e i suoi appuntamenti, quanto i 
                molteplici argomenti che si sovrappongono l’un l’altro, senza 
                soluzione di continuità e senza una conclusione.
                
                
                 
                
                
                Quando invece capita lui a Torino, appresso a uno 
                dei suoi tanti interessi, si fa condurre in giro a piedi per la 
                città, curioso e anzi avido turista non per caso, sempre attento 
                a uno dei tanti particolari che è capace di scoprire.
                
                
                Ma non è forse il vero poeta capace di vedere il 
                porto sepolto? 
                
                
                Di scoprire quel nulla d’inesauribile segreto? 
                
                
                La limpida meraviglia di un delirante fermento?   
                  
				
                
                    
                
                
                ____________________________________________________________________
                
                
                Sì, qualcosa rimane, fra le pagine chiare e le 
                pagine scure. 
                
                
                Rimane un libro, per esempio, con una dedica. 
                L’ultimo di Nicola Vacca, poeta compito e profondo, infaticabile 
                animatore culturale, “Incursioni
                
                nell’apparenza”, 
                Manni editore; il suo personale messaggio, a metà strada fra 
                sconforto e speranza: 
                
                
                “I 
                sillogismi dell’amarezza che passano attraverso le Poesie 
                servono a suonare la sveglia a questo tempo incolore”.
                
                
                
                Torino lo ha accolto con una delle sue giornate 
                tipiche: freschetto mattutino e serale, nebbiolina e cappa 
                grigio kriptonite in cui i raggi del sole non riescono a farsi 
                largo. 
                
                
                Una giornata cominciata nella Roma impazzita di 
                traffico dopo l’incidente in metropolitana, in cui era diventato 
                problematico raggiungere Fiumicino, e finita a notte fonda, 
                davanti all’albergo, dopo una cena in cui era stato ubriacato 
                dai discorsi contorti e intricati dei commensali, non dal vino e 
                dall' amaro della casa. 
                
                
                Contro l’indifferenza, il disincanto, l’amoralità 
                del mondo,  Nicola Vacca afferma con vitalismo di ricerca e di 
                testimonianza a tratti addirittura esasperato la propria fiducia 
                nei valori della cultura e nei significati della poesia. 
                
                
                
                Tesse di giorno, ogni giorno, una tela fitta 
                fatta di affetti, amicizie, relazioni  e la notte no, non la 
                disfa, anzi, di notte, ogni notte, ci ricama su, sognando.
                
                
                
                Ma i sogni dei poeti non sono uguali a quelli di 
                tutti gli altri. Hanno più forza e un’intensità tale da potersi 
                proiettare nel concreto dell’esistenza, a darle ordine, forma e 
                vigore. Si fanno pensieri prima e azioni poi, senza soluzione di 
                continuità, infilandosi nei tempi e nei modi dell’esistenza 
                quotidiana. 
                
                
                Eh sì è anche bella, Torino, alla fine, ha il suo 
                fascino nascosto. Da un capo all’altro dell’Italia, in giro, dal 
                centro di Roma, residenza abituale. Contatti, iniziative, 
                scadenze, progetti. Il locale elegante ed austero, ottocentesco, 
                preferito per l’aperitivo. Scelta imposta dagli amici quello per 
                la cena. Motivi e personaggi, fatti e persone, fra dispute 
                ideologiche sul ruolo americano e confronti strategici sul 
                piacere del fumo. 
                
                
                A che punto è la notte, non importa. Al mattino 
                la sveglia suona presto, è meglio andare. A presto, chissà dove 
                e chissà quando, ma sarà presto, presto, per chi si rivede e si 
                separa, come se non fosse mai successo.
                
                
                
                
                ____________________________________________________________________
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                LA 
                SUA POESIA DI VALORI
                
                
                Nella mia geografia dell’anima, Nicola Vacca sta 
                invece fra Pablo Neruda e Jacques Prevert, fra Giuseppe 
                Ungaretti e Mario Luzi, e, ai nostri giorni, insieme  Roberto 
                Carifi e a Giuseppe Conte: quelli capaci di rendere come lampi 
                abbaglianti nel grigiore dell’esistenza il miracolo multiforme 
                dell’amore.
                
                
                So bene che la sua ( la loro ) poesia è fatta di 
                altri e alti valori.
                
                
                 
                
                
                Ma qui posso spogliarmi delle vesti paludate, 
                nonché ingombranti, del critico e dire quello che più mi piace.
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                Non starò pertanto a sottolineare, come è già 
                stato autorevolmente fatto, per esempio che:
                
                
                 “Una 
                sfilza di soluzioni stilistiche tessono l’architettura della 
                sua  poesia fatta di folgoranti intuizioni tradotte in versi, 
                collegati tra loro in maniera a volte, addirittura acrobatica.
                
                
                  
                  
                  L’umana finitezza dissipata tra la devastazione 
                  e il saccheggio apre gli occhi al poeta e lo costringe a 
                  denunciare il massimo squallore del deserto dove è finita 
                  l’anima quando serpeggia nell’attesa di trovare la via del 
                  sentimento”.
                
                
                “La 
                poesia, oggetto misterioso d’amore,
                
                
                
                 scolpisce statue d’infinito
               
                  
                  
                  
                   nel cerchio aperto della ragione”
                
                
                
                 
                
                
                Lascio ad altri l’esaltazione dei suoi versi “inquieti 
                e struggenti, apodittici e quasi ieratici”, soprattutto 
                quando, come in “Morte Occidentale”, affondano come un coltello 
                acuminato nelle piaghe della nostra esistenza contemporanea e 
                finiscono con fare domande terribili:  
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                 
                
                
                “Dove 
                sono finiti i pensieri dei cuori appassionati?
                
                
                
                Non c’è nient’altro che la triste freddezza
                
                
                Di 
                tante storie che si assomigliano
                
                
                
                Tutto è uguale in un giro di vite
                
                
                
                Che si accontenta di un unico pensiero
                
                
                
                Che tragicamente non fa la differenza”.
                
                
                 
                
                
                Ma non nasce forse la vera poesia proprio 
                dall’inquietudine esistenziale, dal tormento interiore, dalla 
                sofferenza spirituale?
                
                
                Dirò invece che della poesia di Nicola Vacca a me 
                piace soprattutto la vena intimista e sentimentale, l’afflato 
                lirico che si esercita nell’espressività amorosa.
                
                
                 
                
                
                Come in certi passaggi della raccolta “Civiltà 
                delle anime” ( Book editore, 2004 ).
                
                
                 
                
                
                Qui Nicola Vacca assicura che:
                
                
                 
                
                “L’amore 
                è la vita: lo stupore che incanta 
                
                
                E’ 
                l’aver amato,  l’aver vissuto” 
                
                
                
                 
                
                
                e rende superbamente il concetto in versi 
                intensi, come quelli di “Congiungimenti”:
                
                “Passami 
                per la sostanza
                
                
                Di 
                tutte le cose
                
                
                
                Non lasciarmi indifeso
                
                
                
                Sul cammino del sogno
                
                
                
                Pronuncia con me le certezze
                
                
                
                Dell’amore perché il dubbio
                
                
                
                Che inventa la vita non smetta
                
                
                
                Mai di accompagnarci nel vero
                
                
                
                Accattivante di un legame irrinunciabile”.
                
                 
                
                
                I 
                MOMENTI DELL’AMORE
                
                
                La poesia di Nicola Vacca, “antidoto 
                quotidiano al veleno letale dell’incomunicabilità tra gli esseri 
                viventi” e “dialogo con l’eternità”, più volte 
                esplora “il vivente Giardino” dell’amore, come quando ne svela 
                la paura che spesso ci assale di perderci fra i suoi sentieri:
                
                “Sembra 
                che l’amore 
                
                
                
                arrechi disturbo alla maschera 
                
                
                
                che quotidianamente indossiamo.
                
                
                
                Abbiamo paura di farci sorprendere
                
                
                
                Teneramente vulnerabili
                
                
                
                Indifesi, ma veri”.
                
                
                 
                
                
                Oppure come quando in maniera encomiabile esalta 
                le ragioni del cuore sulle ragioni della ragione:
                
                
                 
                
                “Uno 
                strano gioco della mente
                
                
                
                che noi umani chiamiamo ragione
                
                
                
                dell’amore tutto uccide
                
                
                
                per un pugno di egoistici timori.
                
                
                Si 
                appellano all’intelletto
                
                
                
                Gli assassini delle passioni.
                
                
                Al 
                desiderio è preferibile
                
                
                
                esibire l’incapacità di coltivarlo.
                
                
                
                L’amore è congenito all’anima
                
                
                
                perché tutte le cose hanno origine
                
                
                
                nella bellezza del cuore”.
                
                
                
                 
                
                
                La precedente raccolta di Nicola Vacca, “Serena 
                musica segreta” ( Manni, 2003 ) è poi da questo punto di vista 
                letteralmente sorprendente. Esattamente questo. Sorprende, 
                infatti, incanta addirittura, la leggerezza, la grazia, la 
                compostezza, con cui il poeta rende il trasporto intenso e 
                maestoso dell’amore vissuto nel suo quotidiano fluire. Una 
                serena musica segreta, appunto, che risuona interiormente, fra 
                giorni e ore, momenti e situazioni.
                
                
                 
                
                
                I momenti dell’amore sono colti liricamente, ma 
                nella assoluta quotidianità, da Nicola Vacca, sul filo della 
                memoria, in un chiaroscuro intensissimo di tenebre illuminate e 
                di squarci di luce interiorizzati, di un’esperienza personale 
                trasfigurata in maniera compostamente mirabile nella dimensione 
                universale, offerta poi quindi quale obiettivo universale.
                
                
                Tutte le poesie di questa raccolta sono esiti 
                straordinari che ne fanno un appuntamento imperdibile.              
                
                
                
                   
                                                                                          
                
                
                Valga per tutte quale ottimo esempio “Inverno”:
                
                
                 
                
                “Sono 
                fredde
                
                
                le 
                stanze vuote di affetti
                
                
                
                baciate dalla tramontana
                
                
                
                vento secco che gela
                
                
                Il 
                mondo del sentimento immutabile.
                
                
                È 
                inverno anche 
                
                
                in 
                prossimità del nostro 
                
                
                
                rifugio; qui la densità dell’istante
                
                
                
                non subisce perdite glaciali
                
                
                
                non si annienta sottozero
                
                
                
                l’ardore della fiamma
                
                
                
                alla luce della quale
                
                
                il 
                tuo cuore invade la felicità
                
                
                
                del mio sogno: amare d’inverno
                
                
                
                nonostante il grande freddo”.
                
                
                  
                
                
                
                Se c’è chi nel suo cuore si porta o teme il 
                grande freddo, legga le poesie di Nicola Vacca, e ne sarà 
                riscaldato e illuminato.
                
                
                 
                
                
                Sì, grazie ad esse, davvero“antidoto 
                quotidiano al veleno letale dell’incomunicabilità tra gli esseri 
                viventi” e “dialogo con l’eternità”, della solitudine 
                angosciante, del disperato e disperante anonimato, 
                dell’impotenza e dell’insoddisfazione che tanto prepotentemente 
                assillano la nostra esistenza  contemporanea, avrà una cura 
                efficace.
                
                
                Forse, la salvezza. 
                
                  
				 
                
                  
				
                AGGIORNAMENTO 
                
                Torino, 26 luglio 2009 
                
                
                  
                
                  
                
                  
                
                Ho visto Nicola Vacca l’ultima 
                volta, in uno dei nostri più o meno occasionali, più o meno 
                voluti, incontri sotto i cieli d’Italia, alla fine di marzo, a 
                Roma, dove egli vive, in una giornata per me per tanti versi 
                memorabile. 
                
                  
                
                Ho ricordato tutto due giorni fa, 
                leggendo del sequestro, operato dalla Magistratura, del mitico 
                “Cafè de Paris”, lo storico locale della “dolce vita”, caduto 
                nelle mani della ‘ndrangheta. 
                
                  
                
                Nell’eterogenea compagnia in cui 
                ci trovavamo, di giornalisti, registi, e quant’altri ( ma non 
                c’erano né nani, né saltimbanchi, né ballerine, sia chiaro ) - 
                anche un fotografo, c’era; cera pure Carlo Gambescia, che 
                tentava di spiegava l’approccio metapolitico a chi era più 
                interessato agli stuzzichini del Campari soda - Nicola spiccava 
                per la  classe, che non è acqua, di sempre, e per quel tono fra 
                l’incazzato col mondo e il “non mi rompete, ve ne prego”, che 
                aveva quel giorno. 
                
                  
                
                C’era il sole fresco e il vento di 
                passioni della primavera romana, peraltro abbastanza ancora 
                immaginaria; a mezzogiorno via Veneto respirava di nuovo, ma 
                soprattutto d’antico; il “Cafè de Paris”, in cui, appunto, ci 
                eravamo dati appuntamento, era praticamente deserto, quando 
                l’occupammo, per un aperitivo, a parlare di libri, film, 
                articoli, poesie e di progetti antichi, ma soprattutto di nuovi. 
                
                  
                
                Gli unici momenti in cui il suo 
                volto duro e intristito si era sciolto ed era stato attraversato 
                dalla luce dei sorrisi furono quando, sia pur per brevi tratti, 
                egli parlò delle sue poesie. 
                
                *** 
                
                  
                
                Ecco, i momenti, fra “pubblico” e 
                “privato”, fra “politico” e “personale”, i momenti di quel 
                giorno di fine marzo scorso, sintetizzano l’ultimo periodo 
                artistico di Nicola Vacca, fatto poi, essenzialmente, di due 
                libri: una nuova raccolta di poesie e una per lui inusuale 
                raccolta di aforismi. 
                
                  
                
                Si scioglie, intimamente, sorride, 
                dentro e fuori, Nicola Vacca, pur parlando di dolore, e 
                sofferenza e terribili prove da affrontare, nell’ultima raccolta 
                “Ti ho dato tutte le stagioni”. 
                
                  
                
                La “serena musica segreta” (anzi, 
                la “Serena”) di sempre diventa  una sinfonia ricca e piena, 
                della sopraggiunta maturità espressiva, che consegna già Nicola 
                Vacca agli archivi del nuovo secolo e del nuovo millennio quale 
                originale e significativa voce poetica. 
                
                  
                  Le trentasei poesie, con la 
                  prefazione di Antonio Debenedetti, per l’editore Manni ( 
                  Lecce, 2007, 9 euro ) in suggestiva veste grafica, rivelano un 
                  incredibile romantico che trova equilibrio, nell’afflato 
                  lirico sapientemente calibrato, nel ritmo che risuona 
                  immediatamente, nell’intimismo che abbraccia l’universalità 
                  delle idee e la comunità degli ideali. 
                  
                    
                  
                  Sentite, per esempio, versi come 
                  questi:
                 
                  
                
                “Ho 
                chiesto aiuto e mi è stato 
                regalato un amore nuovo, 
                che insegna ai deboli la forza. 
                Anche se tutto era oscuro, 
                in fondo a una corsia d’ospedale, 
                ho sempre trovato lì 
                la risposta al suo mostrarsi 
                alla sua fame di vincere la battaglia. 
                 
                Siamo le parole che pronunciamo, 
                siamo le cose che valgono la vita. 
                Nella verità semplice di un gesto 
                siamo rimasti traccia dell’esistere 
                del miracolo che resta. 
                 
                L’amore ci fa diversi. 
                Lui, la bestia che ti assale, 
                non lo saprà, continuerà 
                la sua sconfitta”. 
                
                *** 
                
                         
                
                Si sente? 
                
                  
               
                  
                  O ancora, per esempio:
                 
                  
                
                “Ti ho dato tutte le stagioni 
                nel tempo dell’ascolto, 
                sul precipizio. Ma qui, 
                ancora, l’amore nasce 
                e muore insieme a noi. 
                
                  
                
                Entra con me nelle stanze 
                dal nome infedele; 
                i sorrisi cercano solitudini”. 
                *** 
                
                  
                
                  
                
                Si sente, si sente, la poesia. 
                Lontano un miglio. 
                
                  
                
                Poi, ecco. Bello, qualcosa di 
                Bello, in assoluto, e basta, così, semplicemente. 
                
                  
                
                Impariamo ad amare, leggendo i 
                versi di Nicola Vacca: ci ha insegnato, dimostrandocelo, che  
                 
                
                “l’amore è l’antidoto al veleno 
                della vita”. 
                
                Impariamo ancora da lui ( e non da 
                me, che pure lo vado dicendo spesso, che le parole sono 
                importanti,  a volte pesano come macigni ) che – oh quanto è 
                vero, quanto esse ci qualificano e ci delineano! – “siamo le 
                parole che pronunciamo”. O che scriviamo. 
                
                ***    
                
                  
                
                Ed ecco poi Nicola Vacca 
                nell’inedita versione di polemista. Sorprendente del resto 
                soltanto per chi non lo conosce personalmente: ché, 
                frequentandolo, capita spesso di sentirlo sentenziare 
                sull’ultima polemica politica, che ne so? O su questo o 
                quell’avvenimento pubblico, ma sempre in maniera fulminea, 
                apocalittica e in maniera tale che ce ne sia sempre da 
                ricordare. Un aforisma, appunto. 
                
                E’ uscito nel 2008 “Frecce e 
                pugnali”, per le edizioni “Il foglio”, con la prefazione di 
                Giordano Bruno Guerri e la lontana eco di Nietzsche, Pound e 
                Cioran che arriva fino all’attualità contemporaneo. 
                
                  
                
                Ironico ( ma dire ironico, è 
                troppo poco; pure sarcastico, lo stesso ) brillante, 
                politicamente scorrettissimo (e vivaiddio, in questa melassa 
                indistinta del buonismo parcellizzato sull’immaginario 
                collettivo e del conformismo elevato a indistinto sistema di 
                giudizio e di espressione ) Nicola Vacca  che ce l’ha con un 
                mondo che non lo vuole più trova negli aforismi armi letali, non 
                tanto per difendersi, quanto per attaccare.     
                
                  
                
                  
                
                Così, se la piglia con i luoghi 
                comuni del pensiero debole, con i falsi miti del pensiero forte, 
                e ne ha poi ad abundantiam con il positivismo, con l’ottimismo, 
                con la religione, con la democrazia, con la politica. 
                
                  
                
                Beh, sono provocazioni salutari, 
                che chiudono il cerchio delle sue attività, in cui, non 
                secondarie a quelle letterarie e poetiche, spiccano quelle di 
                animatore culturale e creatore di idee, e di emozioni. 
                
                Ma non da intellettuale: 
                “L’intellettuale scrive per servire il potere. Il poeta ascolta 
                il cuore degli altri per servire la vita”. 
                
                  
                
                La parola, autentica. E l’amore, 
                gli unici ponti di riferimento, nel caos. 
                
                  
                
                  
                
                E’ impossibile discutere con 
                questa apodittica ed apocalittica forza scatenata, ostinata e 
                contraria. 
                
                Rimane il fascino della 
                provocazione, l’insostenibile pesantezza dell’essere il disagio, 
                e l’agio di volervisi opporre. 
                
                  
                
                Poi, che farci? Prendere o 
                lasciare. La verità di Nicola Vacca è che ogni giorno: 
                
                “Quando mi sveglio sono sempre di 
                buon umore. Esco di casa, comincia il dramma”. 
                
                  
                
                Come gli era successo evidentemente anche quella 
                mattina del marzo scorso, a Roma, venendo da me al “Cafè de 
                Paris”.  
                  
                
                Dagli inizi 
                del 2010 Nicola Vacca “riapre” la sua rubrica di poesia, 
                ospitata da “Linea quotidiano”: “Dal 
                2001 al  2006 ho curato sul Secolo d’Italia una rubrica fissa di 
                poesia. Si chiamava ‘Nel verso giusto’ e usciva  
                il martedì. Per molti era diventata  un appuntamento 
                imperdibile. Cosa insolita nella storia della stampa quotidiana 
                italiana, uno  spazio di  3000 battute dedicato alla poesia. 
                L’iniziativa riscosse  l’attenzione dei media. Ma soprattutto ho 
                ricevuto l’attenzione di molti  lettori , poeti e di lettori  – 
                poeti che mi facevano pervenire in redazione i loro libri. Molti 
                critici mi invidiavano , nel senso buono del termine,  questo 
                spazio  nel quale ampiamente e in assoluta libertà  potevo 
                parlare e sparlare con onestà intellettuale di tendenze 
                poetiche, libri e tutto quello che riguardava il mondo del 
                verso.  
                
                
                Personalmente l’ho sempre definito uno spazio corsaro, e così lo 
                hanno percepito anche i miei lettori affezionati. 
                
                Il mio 
                interesse andava e va  soprattutto alla piccola e media 
                editoria, in cui oggi è possibile trovare ancora la buona 
                poesia. Non ho fatto sconti ai poeti laureati e al loro potere 
                culturale. 
                
                Dopo 
                qualche anno la rubrica ritorna: torno a firmare Nel verso 
                giusto con lo stesso spirito corsaro e sempre dalla parte di chi 
                ama la poesia e la considera una cosa onesta. Chi volesse 
                inviarmi i propri libri può farlo al seguente indirizzo: Nicola 
                Vacca c/o Gianni Lendini, via Po 116, 00198 Roma. Vi 
                assicuro che nulla passerà inosservato.  
                
                Poi, come 
                sempre ho fatto, dedicherò maggiore attenzione alla piccola e 
                media editoria. 
                
                Sono 
                contento di questa possibilità per la poesia che ha sempre più 
                necessità di essere divulgata e testimoniata. Soprattutto mi 
                auguro che nel nostro Paese si torni a dare al mondo del verso 
                la giusta considerazione”. 
                
                
                *** 
                
                LA CRISI 
                
                La vita non è facile 
                
                lo sanno i poeti. 
                
                Tutte le mattine 
                
                fanno i conti con le 
                parole 
                
                camminano senza 
                mappa. 
                
                Tengono tra le mani 
                
                la poesia che 
                succede nella crudeltà 
                
                di un altro giorno 
                di paura. 
                
                  
                
                
                 E
                 sempre 
                agli inizi del nuovo anno è pronta la sua nuova raccolta, la 
                nona, di trentotto componimenti,“Esperienza degli affanni”, 
                per le edizioni Il foglio ( 84 pagg. 6 euro ). 
                
                
                Si tratta di 
                una splendida conferma. 
                
                
                Dal “personale” 
                dell’intimo quotidiano che nei suoi versi diventava valore 
                universale ed assoluto delle prime raccolte, al “politico” 
                dell’impegno civile, nella protesta e nella ricerca incessante 
                di lampi di luce nel buio che circonda la nostra identità di 
                contemporanei,  degli ultimi lavori, Nicola Vacca dà un’altra 
                superba prova di maturità espressiva, senza retorica, e con 
                semplice, ma precisa efficacia di contenuti. 
                
                “Giriamo a 
                vuoto, perché abbiamo perso il baricentro. Siamo avvitati 
                intorno a una pericolosa involuzione che sta minando le 
                fondamenta della nostra specie, che non è più capace di 
                guardarsi dentro. Manchiamo di impegno e di responsabilità. La 
                politica non è più in grado di dare risposte alla società, il 
                primato della cultura è stato demolito da un’omologazione 
                mediatica che ha completamente reso superfluo il valore 
                fondamentale della conoscenza. C’è una brutta aria, un asettico 
                analfabetismo emotivo ci sta togliendo definitivamente la 
                meraviglia dello stupore. Insomma, dovremmo iniziare a fiutare 
                l’odore del pericolo, invece continuiamo a farci del male 
                aprendo la strada a un’Apocalisse postmoderna che ci annienterà. 
                
                  
                
                Ezra Pound 
                scriveva che il compito del poeta è quello di riempire il caos. 
                E aveva perfettamente ragione. La poesia riesce a vedere quello 
                che altre discipline non guardano nemmeno. L’invisibile che 
                contiene verità assolute.  
                
                  
                
                Bisogna 
                costruire con parole che dicono e che a volte possono risultare 
                scomode, ma devono dire, quindi significare. L’immagine del 
                vuoto che annuncia tumulti è la fotografia dell’impoverimento 
                del nostro tempo interiore che ha bisogno dell’unica rivoluzione 
                possibile, quella del cuore che tarda a venire. Dal punto di 
                vista relazionale bisogna stare attenti al nulla nel quale la 
                crisi economica, che è soprattutto crisi morale, ci ha 
                trascinato. Si avverte il pericolo del conflitto sociale. E 
                questa volta i tumulti lascerebbero il segno. 
                
                  
                
                A questo serve 
                la poesia. Porre domande sulla vita, non smettere mai di 
                interrogarsi, cercare di evocare, affermare per combattere il 
                nichilismo che avanza dappertutto. Soltanto la parola che chiama 
                le cose con il loro nome può limitare i danni”. 
                
                *** 
                
                "A destra 
                per caso. Conversazioni su un viaggio" ( Il Foglio  letterario, 
                pp. 90,  euro 10 ) 
                
                
                A marzo, poi, in uscita una 
                riflessione propriamente politica di Nicola Vacca, scritta a 
                quattro mani e anzi a due voci con Carlo Gambescia: un poeta e 
                un sociologo, due intellettuali curiosi e intelligenti, 
                affascinanti e creativi, comunque due uomini liberi,  che si 
                interrogano, a metà fra convincimento e delusione, sui loro 
                percorsi politici degli ultimi anni, fra i sentieri impervi e a 
                volte scalcinati della destra italiana. 
                  
                  
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